Dalle riforme liturgiche sul Concistoro alla riflessione sulla “rinuncia ai diritti del cardinalato”

Abbiamo già scorso, brevemente, la storia e qualche elemento di riflessione ecclesiale relativa al Concistoro e alla figura del Cardinale di Santa Romana Chiesa. Nell’articolo che segue cercheremo di analizzare gli aspetti più prettamente liturgici legati a quanto già detto.

Vetus et Novus Ordo: due modalità di celebrare il Concistoro

Certamente, con la riforma liturgica post conciliare non solo il rito della Santa Messa è stato riformato, ma tutto quanto concernente la Liturgia, ivi compreso il rito del Concistoro per la creazione di nuovi Cardinali. Nella liturgia pre conciliare il Concistoro si svolgeva in tre momenti: il primo, il Concistoro segreto. In questa celebrazione il Romano Pontefice annunciava ai membri più anziani del Collegio cardinalizio i nomi dei nuovi eletti. Questo rito, in vero è stato mantenuto fino al 1988. Seguiva, a questo momento, il Concistoro ordinario pubblico. Quest’ atto liturgico consisteva nella consegna della berretta cardinalizia. Per questo secondo atto bisogna annotare la peculiarità legata ai Nunzi apostolici. Questi ultimi ricevevano la berretta dai Presidenti o dai Sovrani delle Nazioni presso cui prestavano il proprio servizio. Terzo e ultimo atto, l’imposizione del galero. Questo atto liturgico poteva avvenire anche tempo dopo il Concistoro ordinario pubblico.

In seguito alla riforma liturgica il rito per la celebrazione del Concistoro per la creazione di nuovi Cardinali è mutato [6]. L’annuncio dei nomi dei nuovi Cardinali eletti non avviene più in segreto e al cospetto dei soli membri anziani del Collegio, piuttosto in pubblico, con l’eccezione della nomina dei cosiddetti Cardinali in pectore. Questi ultimi sono Cardinali di cui non viene resa pubblica la nomina, ma resta, come la dicitura suggerisce, nel segreto del cuore del Pontefice. La riserva in pectore è canonicamente legiferata al §1 del can. 351 e prevede tre specifiche obbligatorie: anzitutto, il Romano Pontefice annuncia l’elezione del porporato riservando in pectore il suo nome. L’eletto è esentato dai diritti e doveri legati al titolo fino al giorno della pubblicazione della sua nomina, dunque nel tempo che intercorre dall’annuncio della creazione con riserva al giorno in cui viene reso pubblico il nome. Il Codice, poi, stabilisce anche il diritto di precedenza rispetto ai Cardinali che fossero stati creati dopo la riserva in pectore del nome e prima della sua pubblicazione. Non si fa menzione, nel Codice, di cosa accada laddove il Pontefice morisse, tuttavia si evince dalla norma che qualora tra l’annuncio con riserva in pectore e la pubblicazione del nome il Pontefice stesso morisse, allora la nomina decadrebbe ipso iure, non essendo stata in alcun modo formalizzata ne documentabile. La pratica della nomina, con tale modalità, è invalsa dal Pontificato di Martino V, ma senza una specifica definizione legislativa tanto che taluni porporati in pectore presero parte al Conclave dopo la morte del Pontefice, altri furono formalizzati dal successore.

Il primo momento del rito è la creazione del Cardinali: dopo il saluto liturgico il Romano Pontefice legge la formula di creazione e proclama solennemente i nomi dei nuovi eletti. Il primo dei nuovi Cardinali ha il compito di rivolgere al Pontefice un saluto a nome di tutti gli eletti. A questo momento segue la liturgia della Parola e l’omelia del Pontefice. Segue subito la professione di Fede dei nuovi eletti e il giuramento. Il secondo momento è la consegna della berretta e l’assegnazione del Titolo o della Diaconia. Ogni Cardinale, secondo l’ordine di creazione, si avvicina al Santo Padre e Gli si inginocchia davanti. Il Santo Padre gli impone la berretta cardinalizia “rossa come segno della dignità del cardinalato, a significare che dovete essere pronti a comportarvi con fortezza, fino all’effusione del sangue, per l’incremento della fede cristiana, per la pace e la tranquillità del popolo di Dio e per la libertà e la diffusione della Santa Romana Chiesa” [7]. Il Pontefice assegna ad ogni nuovo eletto il Titolo o la Diaconia di una chiesa di Roma, segno di partecipazione alla sollecitudine pastorale del Romano Pontefice nell’Urbe. Una specifica rispetto al Titulus: questo viene attribuito a seconda dell’assegnazione dell’eletto ai tre ordini cardinalizi: episcopale, presbiterale o diaconale. Ai primi viene attribuito il titolo di una delle suburbicarie, ovvero Albano, Frascati, Ostia, Palestrina, Porto Santa Rufina, Sabina Poggio Mirteto, Velletri Segni. Di questi titoli quello di Ostia è assegnato per diritto al Cardinale Decano del Collegio, sin da quando il Pontefice Eugenio III, nel 1150, stabilì che il vescovo della Sede suburbicaria di Ostia fosse il Decano del Collegio. Il Codex del 1917 aveva recepito una tradizione millenaria per la quale il Decano era il Cardinale proto vescovo, ovvero il Cardinale Vescovo da più tempo eletto ad una sede suburbicaria [8]. Tale norma fu modificata prima della promulgazione del nuovo Codice, del 1983. Fu Paolo VI nel 1965 [9] a stabilire che il Decano dovesse essere eletto dal Collegio dei Cardinali Vescovi e la sua elezione dovesse essere confermata dal Romano Pontefice. A norma del can. 352 C.J.C. egli non ha potestà sugli altri, ma è un primus inter pares. Il 21 dicembre 2019 il Pontefice Francesco ha modificato questa norma con una lettera motu proprio data circa l’ufficio del Decano del Collegio cardinalizio, stabilendo che la carica fosse quinquennale ed eventualmente rinnovabile.

Una ulteriore specifica rispetto al Cardinale Decano riguarda l’imposizione del Pallio. A questo porporato infatti viene imposto come agli Arcivescovi metropoliti e ha diritto di utilizzarlo nei limiti territoriali del proprio titolo, ovvero quello della suburbicaria di Ostia, nonché nella Consacrazione episcopale del Romano Pontefice eletto qualora questi non fosse insignito del terzo grado dell’Ordine.

Compresi i titoli dell’ordine dei Vescovi, oggi la somma totale è pari a 244 con la specifica che i Patriarchi orientali eletti Cardinali sono nominati tenendo come titolo del proprio patriarcato [10]. Sono oggi vacanti i titoli della suburbicaria di Albano, per l’ordine episcopale; il titolo dei Santi Ambrogio e Carlo, di Santa Balbina, di San Luca in via Prenestina, Santa Maria Domenica Mazzarello, Santa Maria Immacolata di Lourdes a Boccea, di Santa Maria in Monserrato degli Spagnoli, di Sant’Onofrio, di Santa Sabina, di Santa Sofia a via Boccea, per l’ordine presbiterale. Per le Diaconie sono vacanti: Sant’Angelo in Peschiera, Santi Angeli custodi a Città Giardino, Sant’Antonio di Padova a Circonvallazione Appia, San Filippo Neri in Eurosia, San Giuseppe in via Trionfale, Santa Maria Ausiliatrice in via Tuscolana, Santa Maria Goretti, Santa Maria in Cosmedin, Santissimi Nomi di Gesù e Maria in via Lata, Santi Urbano e Lorenzo a Prima Porta.

L’ultimo momento è quello dello scambio dell’abbraccio di pace al Romano Pontefice e dei nuovi Cardinali fra loro. Il rito si conclude con la preghiera dei fedeli, il Pater Noster e la benedizione finale.

La riforma del 2012

Non abbiamo menzionato la consegna dell’anello. Per questo momento bisogna specificare che l’atto liturgico ha subito una modifica; prima del 2012 infatti, il giorno successivo al Concistoro ordinario pubblico con la consegna della berretta e del titolo o diaconia il Pontefice presiedeva una Concelebrazione eucaristica nella quale consegnava ai nuovi porporati l’anello. Con il Concistoro ordinario pubblico del 18 febbraio 2012 il Pontefice Francesco ha modificato le norme liturgiche relative. Ciò considerato il Concistoro consta dei seguenti momenti liturgici: All’inizio del rito il Pontefice si raccoglie in preghiera silenziosa davanti alla Confessione. Successivamente, recatosi all’altare, il Pontefice, dopo il saluto liturgico, ascolta l’indirizzo di omaggio da parte dei primo dei Cardinali designati. Segua la liturgia della Parola e l’omelia, terminata la quale il Romano Pontefice pronuncia la formula di Creazione dei nuovi Cardinali; la formula è la medesima del rito precedente, nel quale però veniva pronunciata all’inizio della celebrazione. Seguono la Professione di fede e il giuramento dei nuovi Cardinali. Ciascun nuovi Cardinali si inginocchia davanti al Pontefice, il quale gli impone la berretta e gli consegna la Bolla di assegnazione del Titolo o Diaconia con l’eccezione dei Patriarchi orientali ed immediatamente consegna anche l’anello, atto non più posticipato alla Celebrazione eucaristica del giorno successivo. La conclusione preceduta dall’abbraccio di pace resta invariata. In buona sostanza si unificano i tre momenti dell’imposizione della berretta, della consegna dell’anello cardinalizio e dell’assegnazione del titolo o della diaconia; cambiano le orazioni colletta e conclusiva; e assume una forma più breve la proclamazione della Parola di Dio. Va premesso, come spiega l’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, che la riforma liturgica avviata dal Concilio Vaticano II ha riguardato anche i riti concistoriali di imposizione della berretta e di assegnazione del titolo ai nuovi porporati, e che il testo rinnovato della celebrazione [11] è stato usato per la prima volta da Paolo VI nell’aprile 1969. Il criterio principale che guidò la redazione del nuovo rituale fu l’inserimento in un ambito liturgico di ciò che di per sé non ne faceva parte in senso proprio: la creazione di nuovi Cardinali doveva essere collocata in un contesto di preghiera, evitando però al contempo ogni elemento che potesse dare l’idea di un “sacramento del cardinalato”. Il Concistoro, infatti, storicamente non era mai stato considerato un rito liturgico, bensì una riunione del Pontefice con i Cardinali in relazione al governo della Chiesa e, pertanto, espressione del munus regendi, non del munus sanctificandi. Tenendo presenti tali aspetti della storia passata e recente, in una linea di continuità con l’attuale forma del Concistoro e dei suoi elementi principali, si è quindi rivista e semplificata la prassi vigente. Anzitutto vengono riprese dal rito del 1969 l’orazione colletta e l’orazione conclusiva, perché molto ricche nel contenuto e provenienti dalla grande tradizione eucologica romana. Le due preghiere, infatti, parlano esplicitamente dei poteri affidati dal Signore alla Chiesa, in particolare di quello di Pietro: il Pontefice prega anche in modo diretto per se stesso, per svolgere bene il suo ufficio. Anche la proclamazione della Parola di Dio assume di nuovo la forma più breve, propria del rito del 1969, con la sola pericope evangelica [12], che è la stessa nei due rituali. Infine, si integra la consegna dell’anello cardinalizio nello stesso rito, mentre prima della riforma del 1969 l’imposizione del galero rosso avveniva nel Concistoro pubblico, seguito da quello segreto, nel quale si svolgevano anche la consegna dell’anello e l’assegnazione della chiesa titolare o della diaconia. Oggi tale distinzione fra Concistoro pubblico e segreto di fatto non viene più osservata e di conseguenza appare più coerente includere i tre momenti significativi della creazione dei nuovi Cardinali nel medesimo rito. Si conserva invece la Concelebrazione con i nuovi Cardinali nella Santa Messa del giorno seguente.

Una questione peculiare conclusiva: la rinuncia ai diritti del cardinalato

Dopo aver ampiamente parlato e dell’aspetto storico ed ecclesiale (nel precedente articolo) e dell’aspetto liturgico legato al Concistoro e alla figura del Cardinale di Santa Romana Chiesa, vorremmo concludere affrontando brevemente una questione che negli ultimi anni si è posta e ha posto nuovi interrogativi, proprio circa la figura del Cardinale.

È noto che degli obblighi e doveri dei Cardinali il Codice di Diritto Canonico tratta in modo puntuale ed esaustivo [13], tuttavia non utilizza mai il termine “diritti”, invece utilizzato negli ultimi tempi in relazione alla “rinuncia ai diritti del cardinalato”, scelta compiuta da un porporato. Ancor prima di entrare nel merito della questione sembra opportuno sottolineare che, come detto, il fatto che il Diritto non parli di diritti, ma di obblighi e doveri, rispetto alla rinuncia presentata e alla successiva accettazione dal Parte del Romano Pontefice Supremo Legislatore, non comporta alcuna questione sulla validità. È pacifico infatti che il Pontefice in virtù della piena, suprema, diretta, immediata ed universale potestà di cui gode ha facoltà di legiferare in deroga al Codice, oltre che essere ingiudicabili i suoi atti. Tra l’altro, a norma del can. 1405 §1 C.J.C., il Romano Pontefice ha diritto esclusivo di giudicare le cause circa i Cardinali e dunque, questa circostanza rientrerebbe nella casistica prevista dalla norma canonica. Chiarito quanto esposto, è possibile cercare di comprendere cosa comporta una rinuncia ai diritti connessi allo status di Cardinale. La risposta giunge dalla lettura in comminato disposto dei cann. 349-353 e 356 C.J.C. e dunque la rinuncia comporta la mancata partecipazione alle funzioni di elezione, aiuto, sostegno attraverso Concistori ordinari e straordinari, collaborazione assidua attraverso gli incarichi affidati e svolti, al Romano Pontefice. Ora, stante la situazione appena descritta, il porporato che dovesse rinunciare a tali funzioni non è giuridicamente inabile a riacquisirle, certo, ma rispetto al suo status esse restano quiescenti finché il Pontefice non dovesse decidere di reintegrarlo in tali funzioni dal Cardinale stesso rinunciate.

Rimane da chiarire se il Cardinale rinunciatario dei diritti connessi allo status permanga in tale status o ne decada. Considerando la dignità in rapporto all’ufficio od uffici ad essa connessi, possiamo affermare con una certa sicurezza che esiste una qualificazione personale che, sulla scorta di alcune disposizioni legislative, può essere denominata come dignità cardinalizia. Questa qualificazione è il presupposto, talora necessario ed esclusivo, richiesto per assumere determinati incarichi od uffici nell’ambito dell’organizzazione ecclesiale. Ma proprio in quanto presupposto, conserva una sua autonomia rispetto alla titolarità di tali incarichi od uffici. Quest’ultimi sono spesso oggetto di specifiche disposizioni normative, di provvedimenti disciplinari e penali, che non incidono sulla qualificazione personale costituita dalla dignitas cardinalizia [14]. E dunque sarebbe valido un Conclave riunitosi in assenza di un Cardinale rinunciatario dei propri diritti, considerato che quello dell’elezione del Pontefice è un dovere hac ipsa de causa ed exclusive pertinet [15]? La risposta è affermativa. Infatti, pur nel contesto di una rafforzata garanzia, lo stesso art. 36 della Costituzione Universi Dominici Gregis prevede espressamente  che vi siano dei cardinali privati di tale diritto. Sulla base di quanto abbiamo precedentemente argomentato, la perdita del diritto elettorale non può che essere strettamente connessa dalla soppressione della dignità cardinalizia. In ordine a quest’ultima, si delineano quindi due vie, sulle quali occorre ora soffermarsi: la deposizione canonica operata dal Supremo Legislatore e la rinuncia.

Per concludere, la dignità cardinalizia è conditio sine qua non per l’acquisizione di taluni uffici e l’esercizio degli obblighi e doveri previsti dal Codice di Diritto Canonico, ma non vale il contrario. Ovvero, la rinuncia all’esercizio di obblighi e doveri, o ai diritti connessi al Cardinalato, non implicano il decadimento della dignità che può essere, comunque, deposta dal Romano Pontefice o rinunciata dall’interessato. La dignitas cardinalizia conserva una propria autonomia rispetto agli uffici da essa dipendenti. Proprio in ragione di ciò sono validi tutti gli atti collegiali posti in essere in assenza del rinunciatario, ivi compreso il Conclave. Se così non fosse, ovvero se la dignitas fosse strettamente connessa all’ufficio o all’obbligo/dovere di elezione del Romano Pontefice dovrebbero considerarsi decaduti dalla dignità tutti i Cardinali ultraottantenni, che pure conservano la dignitas pur non esercitando l’obbligo connesso.

Prof. Cristian Lanni

[6] Facciamo qui riferimento al rito vigente dal 1991 al 2010.

[7] Estratto della formula (tradotta dal latino) per l’imposizione della berretta rossa.

[8] cfr. Can. 237 §1.

[9] Con il Motu Proprio Sacrum Cardinalium Consilio.

[10] Ad oggi sono: il Patriarca di Antiochia dei Maroniti e il Patriarca di Baghdad dei Caldei.

[11] Pubblicato in Notitiae, 5(1969), 289-291.

[12] Mc. 10, 32-45.

[13] cfr. Cann. 349-359 C.J.C.

[14] A sostegno della nostra tesi, si veda P. Moneta, Alcune considerazioni sulla dignità cardinalizia, in Aa.Vv., in Raccolta di Studi in omaggio di Mons. J.I. Arrieta  in occasione del suo 70° compleanno, Roma 2021.

[15] cfr. Art. 36 Universi Dominici Gregis.

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