Usque ad sanguinis effusionem” una riflessione sul “consiglio del Sommo Pontefice”. Aspetti storici, ecclesiali e liturgici legati alla figura dei Cardinali di Santa Romana Chiesa.

Il prossimo 30 settembre il Pontefice Francesco celebrerà il suo nono Concistoro ordinario pubblico per la creazione di ventuno nuovi Cardinali, tre dei quali non elettori. Il titolo di Cardinale di Santa Romana Chiesa è quello che conferisce ad un presbitero il compito peculiarissimo di coadiuvare il Romano pontefice nell’esercizio del suo ministero per il governo della Chiesa universale, oltre che il dover provvedere all’elezione stessa del Pontefice [1]. Nei due articoli che seguono volgiamo affrontare la tematica da due punti di vista: uno più prettamente storico e riflessivo della figura del Cardinale, prodromico di secondo più strettamente liturgico.

Chi può essere nominato Cardinale

Nella chiesa antica il Pontefice aveva come collaboratori alcuni presbiteri preposti alla cura delle più antiche chiese di Roma, diaconi che amministravano il Palazzo del Laterano e i sette “dipartimenti” di Roma, nonché vescovi che tenevano il governo delle diocesi suburbicarie. Qui le origini dei cardinali e dei tre ordini: vescovi, presbiteri e diaconi. Nel 1059, sotto il Pontificato di Nicolò II ai soli Cardinali dell’ordine episcopale viene riservata l’elezione del Pontefice, sottraendola alla facoltà elettiva del clero della diocesi di Roma. Nel 1179 Papa Alessandro III allarga questo diritto a tutti i Cardinali e nel corso del XII secolo inizia ad essere in uso la nomina a Cardinale di chierici provenienti anche dalle altre diocesi, fuori da Roma. In vero, dire che venissero scelti dei chierici non è del tutto corretto, almeno fino al 1918. Prima di questa data infatti, era invalso l’uso di scegliere anche laici per la porpora, essendo immediatamente dopo ordinato diacono, ma Benedetto XV stabilì che tutti i porporati sin dall’elezione dovessero essere ministri ordinati. L’ultimo laico eletto alla porpora, un avvocato rotale, fu scelto da Pio IX [2] che gli impose la berretta nel concistoro del 15 marzo 1858, questi entrò anche nel Conclave che elesse Leone XIII, ma con la sola ordinazione diaconale. Dopo la disposizione normativa di benedetto XV fu Giovanni Paolo II a stabilire, nel 1983, che tutti gli eletti al cardinalato dovessero ricevere l’ordinazione episcopale [3], salvo che non domandino al Romano Pontefice la dispensa da tale prescrizione, come accaduto in alcuni casi. Ebbene, alla luce di tali disposizioni normative, si rileva che mai, dopo il Pontificato di Pio IX si è verificata la creazione di un porporato laico, nonostante talune fonti affermino l’intenzione di Paolo VI di voler creare cardinale il filosofo Jacques Maritain; con Giovanni Polo II e Benedetto XVI erano stati annoverati nel numero delle porpore, invece, sacerdoti ultraottantenni e dunque senza diritto di voto in Conclave. Tuttavia, non sono mancate voci, nel Pontificato di Francesco, circa l’intenzione di richiamare alcuni laici nel Collegio cardinalizio, laici che naturalmente avrebbero ricevuto poi l’ordinazione, dunque stante la norma di Benedetto XV, comunque nulla vieterebbe al Romano Pontefice di chiamare tra le porpore un laico; d’altro canto anche per essere eletto Pontefice non occorre l’ordinazione, ma sole tre caratteristiche: essere maschio, battezzato e celibe.

La creazione dei nuovi Cardinali avviene in un Concistoro. Tale consesso ha origini antichissime e non immediatamente connesse al governo della Chiesa. Dal latino consistorium, letteralmente era il luogo della riunione; fu nel II secolo, con l’imperatore Diocleziano ad assumere il significato di un consesso di saggi che coadiuvava l’imperatore nel governo. A quel punto però il consistorium derivò da consistere, ovvero il verbo per indicare lo stare in piedi: Diocleziano aveva previsto che i suoi consiglieri stessero in piedi al suo cospetto. Da allora il termine indicò una grande varietà di adunanze, passando poi ad essere utilizzato per l’adunanza dei Cardinali che coadiuvano il Romano Pontefice nel governo della chiesa universale, in particolare nel medioevo, quando il termine iniziò a sostituire quello di Sinodo romano, l’adunanza convocata dal Pontefice per la discussione dei problemi di maggior rilievo. Anticamente esistevano tre tipologie concistoriali: segreto, pubblico e semipubblico, oggi sostituire solo da ordinario e straordinario a norma del Diritto universale [4].

Usque ad sanguinis effusionem

Questo è il mandato di ogni porporato: dare la propria vita fino a versare il sangue ad imitazione del Divino Pastore, infatti ad ogni cardinale nell’imporre la berretta il Pontefice ricorda che «Ad laudem omnipotentis Dei et Sanctae Sedis ornamentum, accipe birretum rubrum, cardinalatus dignitatis insigne, per quod significatur usque ad sanguinis effusionem pro incremento christianae fidei, pace et quiete populi Dei, libertate et diffusione Sanctae Romanae Ecclesiae, vos ipsos intrepidos exhibere debet. Amen».

Tenendo conto delle parole di tale orazione e alla luce della Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium, tenteremo una riflessione su un aspetto strutturale della Chiesa: il cardinalato. Il Cardinale è, in primo luogo, collaboratore, consultore, del Romano Pontefice e dunque della sua potestà di governo della Chiesa universale. Al n. 10 di tale Costituzione Apostolica, tuttavia, si legge anche che «Non si può non tenerne conto nell’aggiornamento della Curia, la cui riforma, pertanto, deve prevedere il coinvolgimento di laiche e laici, anche in ruoli di governo e responsabilità». E dunque in qualche modo il Pontefice ha modificato l’assetto strutturale governativo della Chiesa affermando che anche in quei ruoli precedentemente riservati (magari) proprio ad un porporato, oggi devono poter essere coinvolti e pensati anche i laici, che in virtù del proprio Battesimo acquistano una responsabilità gravissima nella costruzione stessa della Chiesa. Ciò non nega, ovviamente, il ruolo fondamentale dei Cardinali che svolgono due principali tipologie di servizio che si concentra principalmente in due settori della Chiesa, uno al centro: la curia e i suoi dicasteri; l’altro, ad extra, la pastorale nelle diocesi presenti nel mondo.

Una seconda riflessione, alla luce degli artt. 15 e 17 della Costituzione apostolica, rispettivamente concernenti la non necessità di un Cardinale a guida di un Dicastero e la durata di un quinquennio delle funzioni di dirigenza dei Dicasteri, deve riguardare l’essere un titolo o un a funzione del Cardinale. Certamente, dal punto di vista funzionale occorre un titolo per chi è a capo di talune istituzioni, ma la domanda che sorge da ciò è concernente l’essere permanente di tale titolo, ovvero se esistono differenti titoli a motivo di differenti ruoli, tali titoli devono essere permanenti per chi ne è investito o solamente temporanei e legati all’ufficio che si ricopre? In altri termini, se l’art. 17 prevede il tempo di un quinquennio per la guida di un Dicastero, il titolo di cui il soggetto alla guida gode deve cessare con la cessazione dell’ufficio? In tal caso anche il titolo cardinalizio potrebbe pensarsi come ad tempus. Un titolo che dura col perdurare dell’ufficio. D’altra parte non c’è da stupirsi perché non si tratta di un sacramento, ma di un titolo, cui è legata l’elezione del Romano Pontefice. Proprio questo elemento parrebbe un discrimine fondamentale alla considerazione di questo titolo come titolo ad tempus. Riteniamo, invece, che proprio tale connessione possa determinare una temporaneità del tempo del cardinalato.

L’elezione è riservata ai soli porporati che prima del giorno in cui la Sede Apostolica non resti vacante non abbiano compiuto l’ottantesimo anno di età [5], dunque, dopo l’ottantesimo anno di età il titulus si svincola dall’onere dell’elezione e, alla stregua del monsignorato diviene un titulus sine re, ovvero meramente di onore e privo di ogni onere. Tale eventuale previsione alleggerirebbe anche la struttura ecclesiastica, ratio che nella storia ha preso più di una volta piede. Il Concilio di Costanza interviene per porre un argine al numero eccessivo e superfluo di Cardinali sottolineando che essi sono cardini, su cui girano e si poggiano le porte della Chiesa universale, e come tali, per non svilire tale dignità con un numero eccessivo e superfluo di Cardinali, occorre che siano di numero massimo 24, più altri due dovuti a casi particolari. Leone X infrange la norma e nel 1517 crea ben 33 Cardinali in un solo atto: il Collegio sale pertanto a ben 65 Cardinali. Paolo IV li eleva ulteriormente, e Sisto V con la Costituzione Apostolica Religiosa fissa il tetto massimo di 70. Pio XII, nel 1946, con la promozione di 32 Cardinali, supera tale tetto, mentre Giovanni XXIII, in cinque momenti successivi, porta il Collegio rispettivamente a 74, 79, 85, 86 e infine ad 87 componenti. Paolo VI prosegue su questa strada e, con diversi provvedimenti, porta il Collegio a 103, 134, 145. Ma nel 1969 gli elettori scendono a 134.

Per la prima volta, Paolo VI dispone che lo ius eligendi attivo sia riservato a coloro che, pur appartenendo al Collegio Cardinalizio, non hanno ancora compiuto l’ottantesimo anno di età. Comunque il Collegio elettorale non dovrebbe superare il limite dei 120 votanti. Infatti Paolo VI dispose che gli aventi diritto di voto attivo non potevano superare il numero massimo di 120 mentre il Collegio Cardinalizio poteva essere formato da più di 120 Cardinali. compresi coloro che hanno già compiuto ottant’anni. Rimane comunque ferma la facoltà del Pontefice di derogare alla norma che fissa il numero massimo di 120 elettori. Infatti ogni qual volta crea uno o più Cardinali aventi diritto di voto attivo in numero tale da superare il numero di 120 Cardinali elettori totali, de facto deroga a quanto dispone il n. 33 della Universi Dominici Gregis.

Prof. Cristian Lanni

Altri articoli del prof. Lanni, li potete trovare qui: https://www.legraindeble.it/categorie/abc-liturgico/

[1] cfr. can. 349 C.J.C.

[2] Si trattava di Teodolfo Mertel, figlio di un panettiere bavarese dello Stato Pontificio.

[3] cfr. can. 351 C.J.C.

[4] cfr. can. 353 C.J.C.

[5] Così l’art. 33 della Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis.

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