In attesa dello sposo eterno

Commento al vangelo della XXXII domenica del T.O.

Assisa nell’eternità

La traduzione letterale del primo versetto del vangelo di questa domenica recita: “Allora il regno dei cieli sarà reso simile a dieci vergini”. In quell’ὁμοιωθήσεται (omoiothésetai), “sarà reso simile”, si dispiega la potenza rivelatrice del Verbo: l’Uomo-Dio, che per mezzo dello Spirito ricongiunge all’Eterno l’anima umana, in un futuro che diventa presente, per amore “previene quanti lo desiderano”; è la Sapienza precorritrice del tempo, perché assisa nell’eternità.

L’esilio e l’attesa

Nel moto parabolico di proiezione verso le sponde della salvezza, l’anima umana assiste al resoconto dei suoi chiaroscuri interiori: le viene proiettata la lotta di luce e tenebre che prepara la sua più profonda essenza all’ὑπάντησιν τοῦ νυμφίου (ypàntesin toù nynfìou), “all’incontro con lo sposo”. Le dieci vergini, esemplificazione dell’integra regalità celeste, sostanziano, dunque, il punto di principio e fine di uno spazio temporale d’esilio e di attesa: conoscono lo sposo, lo attendono, e per riconoscerlo portano con sé delle lampade. Quelle λαμπάδας ἑαυτῶν (lampàdas eautòn) sono loro corredo sostanziale, bagaglio che le vergini hanno preso con sé prima di ogni cosa, dono elargito da Dio in vista dell’“incontro con lo sposo”.

Nel tempio di Dio

Nella cavità di quelle lampade l’anima riconosce se stessa quale tempio di Dio: tempio futuro e presente della “sapienza radiosa e indefettibile” del Signore. Ma la lampada ha bisogno di olio per avere luce e per far luce. Le vergini sagge, infatti, “avendo portato con sé le loro lampade”, ἔλαβον ἔλαιον ἐν τοῖς ἀγγείοις, (élabon élaion en tois angeìois), “portarono olio nei piccoli vasi”. Se a livello letterale e meramente concreto si riesce a comprendere che la lampada non serve a nulla se non perché, per mezzo dell’olio, si possa accendere la luce, cosa indica spiritualmente la necessità dell’olio per far luce?

Aspersi d’olio

Per comprendere il significato anagogico del vangelo pronunciato dal Verbo, può giungere in nostro soccorso la prima lettura. Dice, infatti: “la sapienza facilmente è contemplata da chi la ama”. Il tempio di Dio, la lampada della nostra anima, non deve cadere in un tenebroso e inerte sonnecchiare. Accesa, nell’attesa, essa aspetta di far luce sullo sposo e ci permette di contemplare il suo radioso arrivo. Ma per tutto ciò è necessario che i bordi della lampada siano aspersi dell’olio dell’amore e con esso consacrati a Dio. Perché in “piccoli vasi”? È il sentimento dell’attesa e dell’esilio che sostanzia la piccolezza del vaso: anime create per l’eternità trovano difficoltà a travasare nello stretto pertugio del divenire la divina immensità dell’amore. La piccolezza delle situazioni temporali non fa spazio a quell’amore celeste che deve ungere le pareti della nostra terrena esistenza. Ma amare negli stretti vasi di questo nostro esilio è la necessaria eterna via per amare a pieno la vita. Via che dobbiamo percorrere per raggiungere il nostro eterno sposo celeste.

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