Commento al vangelo della II Domenica del TO

Cristo, il volto del desiderio

Ἴδε ὁ ἀμνὸς τοῦ θεοῦ ὁ αἴρων τὴν ἁμαρτίαν τοῦ κόσμου.
«Vedi l’Agnello di Dio, colui che solleva la mancanza del mondo.»
Gv. 1, 29

È in quel dito puntato del Battista che si nasconde nella sua interezza la vita umana. È in uno sguardo pieno di gioia e sconcerto che si riassume la storia del mondo, dalla creazione al giudizio. Al centro dell’esclamazione di Giovanni, mentre riconosce il cugino, c’è un vocabolo, ἁμαρτία (hamartía), generalmente tradotto con «peccato», ma che nasconde nel suo etimo, un significato più profondo. Hamartía significa «non centrare il bersaglio», sviare dalla vera natura delle cose, vagabondare lontano dal reale scopo delle nostre azioni.

Quiete amorosa

Nelle profondità dell’interiore umano si vive sempre la ricerca di una base granitica su cui costruire la casa della propria vita. Ogni azione, in fondo, è spinta dal desiderio di una quiete amorosa, in cui si possa riposare dall’annaspare quotidiano. Ma il desiderio, se non è ben centrato, fa ricadere l’azione nell’hamartía. In questo meccanismo di risalite e cadute, privo di redenzione fino alla fine del mondo, viene verso di noi, come venne da Giovanni, Gesù, l’Agnello di Dio, a svelare la vera sostanza del nostro cuore.

Il logos divino

Foto di Pexels da Pixabay

L’affermazione veterotestamentaria di un Dio che crea l’uomo «a propria immagine» trova numerose volte la stessa spiegazione nel pensiero dei primi Padri orientali: ogni creatura umana ha dentro di sé il lógos divino, una scintilla di vita e luce che chiede di essere seguita. Il verbo di ciascun uomo non è stato donato solo come elemento statico, cioé come qualcosa di caratterizzante il nostro essere, ma anche come obiettivo eterno, come scopo che ciascuno è chiamato a raggiungere.

I giorni dell’uomo nel giardino dell’Eden erano scanditi dal battito di un cuore che non aveva ancora vissuto la scissione: volontà umana e divina erano coincidenti. L’insinuarsi del male procurò la ferita e la messa in atto dell’azione fu l’esilio: fuggire dal paradiso terrestre era immagine di una più profonda separazione interiore. La volontà dell’uomo si allontanava allora dalla luce del verbo, comprendere Dio dentro se stessi divenne un mistero.

Il volto di Cristo

Cristo è sostanza della vocazione di ciascuno e manifestazione della volontà del Padre nel cuore di ogni uomo. Gesù è l’infinito che torna ad abitare in noi, il Dio che scende nelle acque e risale a risanare la ferita dell’esilio. Raggiungere la quiete amorosa vuol dire riconoscerLo energia e scopo del nostro vivere, agire ἵνα φανερωθῇ τῷ Ἰσραὴλ (hína phanerōthê tô Israēl), «affinché sia manifestato a Israele», perché il senso del desiderio ha un volto ed è il volto di Cristo.

Elisabetta Corsi

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