Insieme alla preghiera e al digiuno, la quaresima – che a volte viene intesa comunemente ed erroneamente come periodo contrario alla gioia – ci invita alle opere di carità, comunemente note con il nome di elemosina.

A riguardo, c’è un significativo esempio nelle lettere paoline: la raccolta che San Paolo promuove in Macedonia e anche a Corinto (cf. 2Cor 8–9) a beneficio dei poveri appartenenti alla Chiesa di Gerusalemme.

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Già i termini che egli usa per descriverla sono significativi; essa è un “servizio”, una “offerta generosa”, un “dono”, una “azione sacra”. Il valore di questo gesto di carità, infatti, non si esaurisce nel constatare che esso è un dovuto atto di generosità. Paolo, infatti, insiste soprattutto sulle motivazioni di tale opera e sul suo significato. Essa ha come origine il dono che i cristiani stessi hanno ricevuto in Gesù che, “da ricco che era si è fatto povero” perché i credenti “diventassero ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9). Non deve essere, quindi, una cosa fatta per costrizione, con tristezza, perché Dio si compiace di colui che fa il suo dono con gioia (cf. 2Cor 9,7). Inoltre, privarsi di qualcosa a beneficio dei fratelli, diventa un segno di profonda comunione tra i credenti. Sarà Dio stesso a moltiplicare e far crescere anche il più piccolo seme di bene.

Don Fabio Villani

Per chi si è perso gli articoli precedenti, potete iniziare da qui: san-paolo-il-primo-dopo-lunico

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