Continuiamo con questo articolo il nostro viaggio nella poesia contemporanea per scavare a fondo le parole e le voci poetiche e scoprire la vocazione della poesia (per leggere lo scorso articolo, clicca qui), aiutati dal nostro caro Don Giuseppe Bianchini.

Se, nella poesia Se qualcuna delle mie povere parole della Pozzi, sentiamo sensibilmente che c’è nell’anfratto più sceso del mistero umano una domanda, come una invocazione, come un “tu” continuo, come un “dove sei?”, dall’altra parte del pianeta, dall’altra parte dell’umano il più (ai più) conosciuto Charles Bukowski ci regala un altro gioiello di versi.

Le ragazze

Le Ragazze
Contemplo
lo stesso
paralume
da
5 anni
e s'è coperto
d'una polvere da scapolo
e
le ragazze che entrano qui
sono troppo
indaffarate
per pulirlo
Ma io non ci bado
anch'io sono stato troppo
indaffarato
per accorgermi
finora
Che la luce
balugina
fioca
dietro questi
5 anni
di vita.

In questa lirica non c’è bellezza che venga declamata. O almeno non è esaltata. Eppure accade qualcosa lo stesso. Il cuore sente il vibrare della materia informe (e ne facciamo parte) e anche cosa vi si nasconde. Il cuore del vecchio ubriacone e puttaniere avverte il fruscio del tempo che trascorre, come un fiume notturno.

La crepa e la luce

Basta un paralume polveroso, in una stanza di motel, basta il banale squallore della normalità perché ci si accorga di qualcosa che non è cristallizzato nel nulla e nel vuoto.

Ragazze e poeta occupati in altri esercizi, del piacere immaginiamo, trascurano la stanza e anche se sembra che tutto sia sempre fisso ed uguale invece cinque anni non passano invano…la polvere si accumula e si accumula anche la nostalgia di qualcosa che evidentemente ne ragazze, ne alcool (ma nemmeno successi e genialità) hanno saputo sopire. La polvere, la vecchiaia che incombe, gli anni percepiti inutili rendono fioca la luce (che sia del paralume, o della finestra, o quella che sale dal porto sepolto del cuore…è indifferente…immagine e realtà si incrociano), la ostacolano ma non la azzerano. 

“C’è una crepa in ogni cosa. E’ da lì che entra la luce”. Ogni volta che leggo la poesia di Bukowski immediatamente penso alla canzone di Leonard Cohen. Anche in questo si compie l’ufficio della poesia: indicare la crepa dalla quale permea quella luce.

Don Giuseppe Bianchini

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