La dinamica dell’Amore si rivolge al Creato e all’uomo. “Così, infatti, Dio ha amato il mondo, da consegnare il Figlio Unigenito, affinché chiunque creda in Lui non muoia, ma abbia la Vita Eterna”. Entriamo nel mistero della Vita con la meditazione di Elisabetta.

Ritorno alla vita per mezzo della Vita (Ps. 17)

Testo del salmo in https://www.bibbiaedu.it/CEI2008/at/Sal/18/

Alle radici dell’esistenza

Foto di Picography da Pixabay

La conclusione della scorsa meditazione (a cui rimando https://www.legraindeble.it/alle-sorgenti-della-salvezza/), puntava l’accento sul problema della conoscenza: lo sguardo della nostra anima appare annebbiato di fronte alla Carità che si rivela per mezzo del Testo Sacro. Quest’ultimo, quindi, giunge alla percezione umana quale lontanissimo approdo. Eppure, – scrive il salmista – la meta che dobbiamo raggiungere, anzi, a cui dobbiamo ‘congiungerci’, non corrisponde ad un fine vano e indefinito, ma piuttosto alle “sorgenti” (αἱ πηγαὶ, ai pegài) da cui si plasma l’“acqua” del nostro essere, alle “fondamenta” di cui è costituito l’“edificio” della nostra anima (τὰ θεμέλια τῆς οἰκουμένης, ta temélia tes oikuménes). Il problema muove, allora, dalla conoscenza di Dio alla sostanza del nostro cuore che risulta intorbidito e incancrenito nell’infelicità di una vita che non può appartenergli, perché irrimediabilmente lontana dalla sua radice: il suo Creatore.

Il soffio dell’ira

Quando l’anima si specchia alla limpida sorgente della Carità, riconosce se stessa. In essa, riconosce anche il fangoso “scrosciare” che l’ha condotta lontano dal proprio principio. Nella consapevolezza della frattura si profila, distinguibilmente, l’ἐμπνεύσεως πνεύματος ὀργῆς (empneùseos pnèumatos orgés) “il soffio dell’ira che spira” all’interno del nostro cuore: è la coscienza che sussurra un grido interiore, con esso denuncia il male commesso e minaccia l’abisso di insensatezza a cui siamo giunti, ma a cui non possiamo ‘congiungerci’, perché non ci appartiene.

L’inamovibile Amore che muove

Foto di Joshua Choate da Pixabay

Attanagliati dall’abisso, la paura di un superamento sembra più forte della forza di volontà che potrebbe spingerci al ricongiungimento, perché, riconoscendo l’Amore per mezzo di un’imperfetta conoscenza, non riusciamo ad amarLo profondamente. Ma la Carità di Dio risponde in maniera inequivocabile e meravigliosa: scrive il salmista al v. 17, ἐξαπέστειλεν ἐξ ὕψους καὶ ἔλαβέν με (exapésteilen ex upsus kai élabén me), “inviò dall’alto e mi prese”. Il verbo utilizzato per indicare il movimento di Dio “dall’alto” è ἐξαποστέλλω (exapostello), traducibile letteralmente con il verbo italiano “dispiegare”. Dio colma le nostre mancanze d’amore attraverso il movimento del Suo Proprio Amore – inamovibile nell’Eternità – che dall’alto della Propria Potenza “afferra”, stringe, assume su di sé la nostra sostanza, che Gli appartiene da sempre.

Alla forza dal ricongiungimento

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Dio, scrive il salmista, “mi sottrasse dalle molte acque” (in greco, προσελάβετό με ἐξ ὑδάτων πολλῶν, proselàbeto me ex udàton pollòn). In conclusione del v. 17, ritorna nuovamente l’immagine delle “acque” posta all’interno di un’espressione di mirabile perfezione. Una possibile traduzione che ne restituisca il senso profondo potrebbe essere: “(Dio) assunse la mia essenza presso di sé, sottraendomi dalla moltitudine delle correnti”. La dinamica dell’Amore si rivolge al Creato e all’uomo, la creatura che, per mistero immenso della Creazione, maggiormente acquista dignità di fronte al Suo Sguardo: la relazione che racchiude le Persone della Trinità non si esaurisce all’interno di Questa, ma il Fuoco della Carità promana da essa e raggiunge il “cosmo” (in sostanza, “quanto è creato”). Il termine occorre in Gv. 3, 16: “Così, infatti, Dio ha amato il mondo (in greco κòσμον), da consegnare il Figlio Unigenito, affinché chiunque creda in Lui non muoia, ma abbia la Vita Eterna”. Quando il nostro cuore è in grado di percepirsi all’interno del perfetto ordine “cosmico”, allora, la nostra esistenza è avvolta dalla tenerezza dirompente della Carità Trinitaria: a Lei deve convergere il nostro sguardo, perché da lei deriva e si espande la luce che dà Vita alla nostra vita.

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