Abbiamo già potuto vedere come la penitenza abbia radici evangeliche e valore assolutamente fondamentale per la vita del Cristiano (si veda: https://www.legraindeble.it/la-pratica-penitenziale-del-digiuno-tra-tradizione-liturgia-e-norma/).
La dottrina e la pratica del digiuno e dell’astinenza, da sempre presenti nella vita della Chiesa, assumono una fisionomia più definita negli ambienti monastici del IV secolo, sia con la sottolineatura abituale della frugalità, sia con la privazione del cibo in determinati tempi dell’anno liturgico. Nel medesimo periodo, sotto l’influsso degli usi monastici, le comunità ecclesiali delineano le forme concrete della prassi penitenziale.

(Mosaico delle tentazioni di Gesù nel deserto, Basilica di San Marco, Venezia)

Il digiuno nella tradizione spirituale e pastorale della Chiesa

La pratica antica del digiuno consiste normalmente nel consumare un solo pasto nella giornata, dopo il vespro, a cui fa seguito, abitualmente, la riunione serale per l’ascolto della parola di Dio e la preghiera comunitaria. Si consolida, attraverso i secoli, l’usanza secondo cui quanto i cristiani risparmiano con il digiuno venga destinato per l’assistenza ai poveri ed agli ammalati. “Quanto sarebbe religioso il digiuno, se quello che spendi per il tuo banchetto lo inviassi ai poveri!” [10], esorta Sant’Ambrogio; e Sant’Agostino gli fa eco: “Diamo in elemosina quanto riceviamo dal digiuno e dall’astinenza” [11]. Così l’astensione dal cibo è sempre unita all’ascolto e alla meditazione della parola di Dio, alla preghiera e all’amore generoso verso coloro che hanno bisogno. In questo senso San Pietro Crisologo afferma che preghiera, digiuno, misericordia, sono una cosa sola, e ricevono vita l’una dall’altra. Il digiuno è l’anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. E la liturgia chiosa “Ogni anno tu doni ai tuoi fedeli di prepararsi con gioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua, perché assidui nella preghiera e nella carità operosa attingano ai misteri della redenzione la pienezza della vita nuova” [12]. Nel IV secolo prende corpo anche l’organizzazione del tempo della Quaresima per i catecumeni e per i penitenti. Questo viene proposto e vissuto come cammino di preparazione alla rinascita pasquale nel Battesimo e nella Penitenza, e quindi è orientato verso il Triduo pasquale, centro e cardine dell’anno liturgico che celebra l’intera opera della redenzione e che costituisce l’itinerario privilegiato di fede della comunità cristiana [13]. Per questo San Leone Magno può dire che il vero digiuno quaresimale consiste “nell’astenersi non solo dai cibi, ma anche e soprattutto dai peccati” [14]. Durante l’epoca medioevale e moderna, la pratica penitenziale viene tenuta in grande considerazione, diventando oggetto di numerosi interventi normativi ed entrando a far parte delle osservanze religiose più comuni e diffuse tra il popolo cristiano.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II e la pratica della penitenza

Il Concilio Vaticano II, senza tradire la sua finalità di cammino verso la santità e di aggiornamento pastorale, chiede che siano rinnovate le disposizioni della Chiesa sul digiuno e sull’astinenza, chiarendo, come prevedibile, e le motivazioni nel contesto attuale della vita cristiana personale e comunitaria [15].

Alla richiesta Padri conciliari risponde il Pontefice Paolo VI con la Costituzione apostolica Paenitemini sulla disciplina penitenziale. In essa viene richiamato in particolare il valore della penitenza come atteggiamento interiore, come “atto religioso personale, che ha come termine l’amore e l’abbandono nel Signore: digiunare per Dio, non per sé stessi” [16]. Da questo valore fondamentale dipende l’autenticità di ogni forma penitenziale. pende l’autenticità di ogni forma penitenziale. In questo contesto Paolo VI sollecita tutti a riscoprire e a vivere il collegamento del digiuno e dell’astinenza con le altre forme di penitenza e soprattutto con le opere di carità, di giustizia e di solidarietà: “Là dove è maggiore il benessere economico, si dovrà piuttosto dare testimonianza di ascesi, affinché i figli della Chiesa non siano coinvolti dallo spirito del ‘mondo’, e si dovrà dare nello stesso tempo una testimonianza di carità verso i fratelli che soffrono nella povertà e nella fame, oltre ogni barriera di nazioni e di continenti. Nei paesi invece dove il tenore di vita è più disagiato, sarà più accetto al Padre e più utile alle membra del Corpo di Cristo che i cristiani – mentre cercano con ogni mezzo di promuovere una migliore giustizia sociale – offrano, nella preghiera, la loro sofferenza al Signore, in intima unione con i dolori di Cristo” [17].

Il vertice di ogni pratica penitenziale

In rapporto all’originalità del digiuno, di cui si è parlato, e dell’astinenza e di ogni pratica penitenziale è da risvegliare la consapevolezza che la prassi per la penitenza nella Chiesa, nelle sue forme molteplici e diverse, raggiunge il suo vertice nel segno visibile della grazia di Dio che desidera riconciliare a sé tutta l’umanità: il Sacramento della Riconciliazione o, appunto, Penitenza. Il cammino per la conversione del cuore, il desiderio e l’impegno per il rinnovamento spirituale, l’apertura sincera al “credere al vangelo” – cfr. Mc 1,15 – trovano la loro verità piena e la loro singolare efficacia nel segno sacramentale della salvezza, operata dalla morte e risurrezione di Gesù e da lui donata alla Chiesa con l’effusione del suo Spirito. Solo nell’inserimento nel mistero di Cristo morto e risorto, mediante la fede e i sacramenti, tutti i gesti, grandi e piccoli, di penitenza e di digiuno e tutte le opere, note e nascoste, di carità e di misericordia acquistano significato e valore di salvezza. Il Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione si rivela in tal modo necessario non solo per ottenere il perdono dei peccati commessi dopo il Battesimo, ma anche per assicurare autenticità e profondità alla virtù della penitenza e alle diverse pratiche penitenziali della vita cristiana. Mediante il Sacramento, lo Spirito crea il cuore nuovo, diventando così legge di vita, ossia risorsa di grazia e sollecitazione per un’esistenza convertita e penitente, come ricorda il Sal 50.

I giorni penitenziali

Quello della penitenza e del digiuno, sin dalle origini della cristianità rappresenta anche un evento sociale e comunitario. Mai solo il singolo, ma sempre tutta la comunità è chiamata a fare penitenza [18]. Per rendere più manifesto il carattere comunitario della pratica penitenziale la Chiesa stabilisce che i fedeli facciano digiuno e astinenza negli stessi tempi e giorni: è così l’intera comunità ecclesiale ad essere comunità penitente. Questi tempi e giorni, come scrive Paolo VI, vengono scelti dalla Chiesa fra quelli che, nel corso dell’anno liturgico, sono più vicini al mistero pasquale di Cristo o vengono richiesti da particolari bisogni della comunità ecclesiale. Fin dai primi secoli il digiuno pasquale si osserva il Venerdì santo e, se possibile, anche il sabato santo fino alla Veglia Pasquale, come consigliato anche nelle “Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario”, n. 19 [19], oltre che da Sacrosanctum Concilium n. 1102; così come si ha cura di iniziare la Quaresima, tempo privilegiato per la penitenza in preparazione alla Pasqua, con il digiuno del Mercoledì delle Ceneri o per il rito ambrosiano con il digiuno del primo venerdì di Quaresima. Mentre il digiuno nel Triduo è un segno della partecipazione comunitaria alla morte del Signore, quello d’inizio della Quaresima è ordinato alla confessione dei peccati, alla implorazione del perdono e alla volontà di conversione. Anche i venerdì di ogni settimana dell’anno sono giorni particolarmente propizi e significativi per la pratica penitenziale della Chiesa, sia per il loro richiamo a quel venerdì che culmina nella Pasqua, sia come preparazione alla comunione eucaristica nella assemblea domenicale: in tal modo i cristiani si preparano alla gioia fraterna della Pasqua settimanale con un gesto che manifesta la loro volontà di conversione e il loro impegno di novità di vita. La celebrazione della domenica sollecita, infatti, la comunità cristiana a dare concretezza e slancio alla propria testimonianza di carità: “E soprattutto la domenica il giorno in cui l’annuncio della carità celebrato nell’Eucaristia può esprimersi con gesti e segni visibili concreti, che fanno di ogni assemblea e di ogni comunità il luogo della carità vissuta nell’incontro fraterno e nel servizio verso chi soffre e ha bisogno. Il giorno del Signore si manifesta così come il giorno della Chiesa e quindi della solidarietà e della comunione” [20]. Quanto detto acquista maggior significato se la domenica è stata preceduta dal venerdì di digiuno, di astinenza e di mortificazione, ordinati alla preghiera e alla carità.

Nuove forme di penitenza

Le profonde trasformazioni sociali e culturali, che segnano i costumi di vita del nostro tempo, rendono problematici, se non addirittura anacronistici e superati, usi e abitudini di vita fino a ieri da tutti accettati. Per la pratica dell’astinenza, si pensi alla distinzione tra cibi “magri” e cibi “grassi”: una simile distinzione porta in sé il rischio di allontanarsi da quella sobrietà che appartiene al genuino spirito penitenziale e di ricercare di fatto cibi particolarmente raffinati e costosi, che di per sé non contrastano con le norme tradizionali fissate dalla Chiesa. Diventa allora necessario ripensare le forme concrete secondo cui la prassi penitenziale deve essere vissuta dalla Chiesa dei nostri giorni i giorni perché rimanga nella sua originaria verità. Le comunità ecclesiali, come pure ogni singolo cristiano, sono impegnati a trovare i modi più adatti per praticare il digiuno e l’astinenza secondo l’autentico spirito della tradizione della Chiesa, nella fedeltà viva alla loro originalità cristiana. Questi modi consistono nella privazione e comunque in una più radicale moderazione non solo del cibo, ma anche di tutto ciò che può essere di qualche ostacolo ad una vita spirituale pronta al rapporto con Dio nella meditazione e nella preghiera, ricca e feconda di virtù cristiane e disponibile al servizio umile e disinteressato del prossimo. Il nostro tempo è caratterizzato, infatti, da un consumo alimentare che spesso giunge allo spreco e da una corsa sovente sfrenata verso spese voluttuarie, e, insieme, da diffuse e gravi forme di povertà, o addirittura di miseria materiale, culturale, morale e spirituale. In particolare, il divario tra Nord e Sud del mondo presenta abitualmente una diversità di condizioni economiche e sociali veramente spaventosa. A fronte di paesi e nazioni del Nord del pianeta, dove vige un tenore di vita molto alto, intere popolazioni del Sud vivono in condizioni subumane di povertà, di malattia e di miseria. In questo contesto, il problema del digiuno e dell’astinenza si collega, a suo modo, con il problema della giustizia sociale e della solidale condivisione dei beni su scala nazionale e mondiale. È in questione allora la responsabilità di tutti e di ciascuno: anche la singola persona è sollecitata ad assumere uno stile di vita improntato ad una maggiore sobrietà e talvolta anche all’austerità, e nello stesso tempo capace di risvegliare una forte sensibilità per gesti generosi verso coloro che vivono nell’indigenza e nella miseria. I1 grido dei poveri che muoiono di fame non può essere inteso come un semplice invito ad un qualche gesto di carità; è piuttosto un urlo disperato che reclama giustizia ed esige che i gesti religiosi del digiuno e dell’astinenza diventino il segno trasparente di un più ampio impegno di giustizia e di solidarietà: “Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: il suono delle tue arpe non posso sentirlo! Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne” [21].

Alcune disposizioni normative per la pratica del digiuno

La pratica penitenziale, che in più punti abbiamo visto ricollegata alla liturgia, è ben regolata dal Diritto della Chiesa, di cui offriamo un brevissimo compendio. In primo luogo il Diritto universale, al can. 1249 C.J.C. che recita “Per legge divina, tutti i fedeli sono tenuti a fare penitenza, ciascuno a proprio modo; ma perché tutti siano tra loro uniti da una comune osservanza della penitenza, vengono stabiliti dei giorni penitenziali in cui i fedeli attendano in modo speciale alla preghiera, facciano opere di pietà e di carità, sacrifichino se stessi compiendo più fedelmente i propri doveri e soprattutto osservando il digiuno e l’astinenza”. Queste disposizioni normative sono la determinazione della disciplina penitenziale della Chiesa universale, ovvero quella dei cann. 1250-1253 C.J.C.  che il Diritto affida alle Conferenze Episcopali nazionali.

A queste ne seguono delle altre; ovvero la cosiddetta “Legge del digiuno” nella Paenitemini, III che proibisce l’uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che, ad un prudente giudizio, sono da considerarsi come particolarmente ricercati e costosi. Alla legge del digiuno sono tenuti tutti i maggiorenni fino al sessantesimo anno iniziato; alla legge dell’astinenza coloro che hanno compiuto il quattordicesimo anno di età.

In Sacrosanctum Concilium n. 110 si stabilisce che digiuno e l’astinenza, nel senso sopra precisato, devono essere osservati il mercoledì delle Ceneri o il primo venerdì di Quaresima per il rito ambrosiano e il venerdì della Passione e Morte del Signore Nostro Gesù Cristo; sono consigliati il sabato Santo sino alla Veglia pasquale. L’astinenza deve essere osservata in tutti e singoli i venerdì di Quaresima, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità, come il 19 o il 25 marzo. In tutti gli altri venerdì dell’anno, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità, si deve osservare l’astinenza nel senso detto oppure si deve compiere qualche altra opera di penitenza, di preghiera, di carità.

Il can. 1245 C.J.C. stabilisce che dall’osservanza dell’obbligo della legge del digiuno e dell’astinenza può scusare una ragione giusta, come ad esempio la salute. Inoltre, “il parroco, per una giusta causa e conforme alle disposizioni del Vescovo diocesano, può concedere la dispensa dall’obbligo di osservare il giorno (…) di penitenza, oppure commutarlo in altre opere pie; lo stesso può anche il Superiore di un istituto religioso o di una società di vita apostolica, se sono clericali di diritto pontificio, relativamente ai propri sudditi e agli altri che vivono giorno e notte nella loro casa”.

Conclusioni

Con la pratica penitenziale del digiuno e dell’astinenza la Chiesa accoglie e vive l’invito di Gesù ai discepoli ad abbandonarsi fiduciosi alla Provvidenza di Dio, senza alcuna ansia per il cibo: “La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito … Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia … Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta” (Lc 12,23.29.3). La comunità cristiana deve mantenere viva la coscienza di essere destinataria di una particolare grazia ed insieme protagonista di una conseguente responsabilità, anche nell’ambito della penitenza. Cristo vuole la sua Chiesa come custode vigile e fedele del dono della salvezza: essa proclama questo dono nella confessione della fede, lo comunica con la celebrazione dei sacramenti e lo manifesta con la testimonianza della vita.

Prof. Cristian Lanni

[10] Ambrogio, Storia di Nabot, X, 45.

[10] Agostino, Discorso, 209,2.

[12] Messale romano, I Prefazio di Quaresima.

[13] cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Evangelizzazione e Sacramenti, 85 (ECEI, 2, 476).

[14] Leone Magno, Discorso VI sulla Quaresima, 1,2.

[15] cfr. Sacrosanctum Concilium, 109 (EV 1, 194-198).

[16] Paolo PP. VI, Cost. apost. Paenitemini, I (EV 2,628).

[17] Ivi, III (EV 2, 641-642).

[18] cfr. Sacrosanctum Conciliurn, 1, 10 (EV 1, 197).

[19] cfr. Messale romano, LV.

[20] Conferenza Episcopale Italiana, Evangelizzazione e testimonianza della carità, 28 (ECEI 4, 2747); Conferenza Episcopale Italiana, Precisazioni sull’anno liturgico, in Messale romano, ed. II, LX-LXI.

[21] Am 5, 23-24.

Condividi questa pagina!