Il tempo della Quaresima è tradizionalmente il tempo dell’astinenza e della pratica penitenziale. l’origine del digiuno e del digiuno quaresimale all’interno della vita della comunità cristiana ha radici profondamente evangeliche; cerchiamo dunque di scrutarne caratteri e peculiarità (per approfondimenti su tempo della quaresima: https://www.legraindeble.it/la-quaresima/).

(Mosaico delle tentazioni nel deserto, Basilica di San Marco, Venezia)

Il valore della penitenza

La penitenza appartiene da sempre, alla vita e alla prassi penitenziale della Chiesa: rispondendo al bisogno permanente del cristiano di conversione al regno di Dio, di richiesta di perdono per i peccati, di implorazione dell’aiuto divino, di rendimento di grazie e di lode al Padre. Pratiche come il digiuno, l’astinenza, assieme alla preghiera, all’elemosina ed altre opere di carità, coinvolgono l’uomo nella sua integralità e nella sua vocazione di Battezzato. Nella penitenza è coinvolto l’uomo nella sua totalità di corpo e di spirito: l’uomo che ha un corpo bisognoso di cibo e di riposo e l’uomo che pensa, progetta e prega; l’uomo che si appropria e si nutre delle cose e l’uomo che fa dono di esse; l’uomo che tende al possesso e al godimento dei beni e l’uomo che avverte l’esigenza di solidarietà che lo lega a tutti gli altri uomini. È in questa ottica che anche il digiuno e l’astinenza vanno compresi: non pratiche di mortificazione del corpo, ma di rinvigorimento dello spirito. Ma perché il digiuno e l’astinenza rientrino nel vero significato della prassi penitenziale della Chiesa devono avere un’anima autenticamente religiosa, anzi autenticamente cristiana: occorre riscoprirne l’identità originaria e lo spirito autentico alla luce della parola di Dio e della viva tradizione della Chiesa. Occorre poi precisarne le modalità espressive in riferimento alle condizioni di vita del nostro tempo. Il digiuno e l’astinenza, infatti, rientrano in quelle forme di comportamento religioso che sono costantemente soggette alla mutazione degli usi e dei costumi. È per questo, in quest’ottica di risposta alla Parola di Dio e alla tradizione viva della Chiesa che il Pontefice Francesco ha sempre ribadito che il digiuno non si limita ad una scelta alimentare, ma alla scelta concreta di uno stile di vita, significato – certamente – anche da gesti altri rispetto al vivere concreto della quotidianità, ma se limitato a quel gesto, a quella scelta alimentare, si riduce a mero palcoscenico [1]. In definitiva il digiuno è il gesto esplicativo di una scelta radicale di vita che ricorda al cuore la priorità dell’essere cristiano [2].

Il valore della penitenza, e della penitenza legata al digiuno, è di carattere spirituale perché rinsalda il legame con il Signore: la rinuncia apre alla comprensione dell’essenziale della vita, evita il contatto con il peccato, si fa mezzo per arrivare a nutrirsi – nella quotidianità della vita – del vero cibo del cristiano: fare la volontà del Padre. Altrimenti, digiunare, sarebbe una pratica illogica che vedrebbe la sterile privazione di qualcosa che in sé stessa non è male, anzi, giova al nostro sostentamento [3].

Il valore della penitenza e del digiuno, oggi – lo ricorda il Pontefice Francesco, ripercorrendo quanto affermato già anche dai suoi Predecessori – non è un segno esteriore: è la rinuncia interiore all’egoismo del sé che allontana da Dio e dai fratelli, per farsi prossimo di questi ultimi e in essi incontrare il Padre.

(Particolare del mosaico delle tentazioni di Gesù nel deserto, Basilica di San Marco, Venezia)

L’esempio di Gesù

Il digiuno dei cristiani trova il suo modello e il suo significato nuovo e originale in Gesù. È vero che il Maestro non impone in modo esplicito ai discepoli nessuna pratica particolare di digiuno e di astinenza; ma ricorda la necessità del digiuno per lottare contro il maligno e durante tutta la sua vita, in alcuni momenti particolarmente significativi, ne mette in luce l’importanza e ne indica lo spirito e lo stile secondo cui viverlo. Come leggiamo in Mt 4,4 il Signore stesso si prepara a combattere la tentazione con quaranta giorni di digiuno nel deserto, controbattendo al Divisore che non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio. E all’ ‘esperienza del digiuno di Gesù la Chiesa nella sua liturgia collega l’istituzione quaresimale: “Egli consacrò l’istituzione del tempo penitenziale – così canta nel Prefazio della Prima domenica di Quaresima –  con il digiuno dei quaranta giorni e vincendo le insidie dell’antico tentatore ci insegnò a dominare le seduzioni del peccato”. Riprendendo la pratica e il valore del digiuno in uso presso il popolo di Israele, Gesù ne afferma con forza il significato essenzialmente interiore e religioso, e rifiuta nettamente gli atteggiamenti puramente esteriori ed ipocriti [4]: digiuno, preghiera ed elemosina sono un atto di offerta e di amore al Padre che è nel segreto e che vede nel segreto [5]. Sono un aspetto essenziale della sequela di Cristo da parte dei discepoli. Quando gli viene domandato per quale motivo i suoi discepoli non praticano le forme di digiuno che sono in uso presso taluni ambienti del giudaismo del tempo, Gesù risponde: “Finché  hanno lo sposo con loro, non possono digiunare” [6] con un chiaro riferimento a sé quale sposo e agli apostoli come invitati alle nozze. La pratica penitenziale del digiuno non è adatta a manifestare la gioia della comunione sponsale dei discepoli con Gesù. Ma egli subito aggiunge: “Verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno” [7]. In queste parole la Chiesa trova il fondamento dell’invito al digiuno come segno di partecipazione dei discepoli all’evento doloroso della Passione e della morte del Signore, e come forma di culto spirituale e di vigilante attesa, che si fa particolarmente intensa nella celebrazione del Triduo della Pasqua. Il riferimento a Cristo e alla sua morte e risurrezione è essenziale e decisivo per definire il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza, come di ogni altra forma di mortificazione: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua” leggiamo in Mc 8,34. È infatti nella sequela di Cristo e nella conformità con la sua croce gloriosa che il cristiano trova la propria identità e la forza per accogliere e vivere con frutto la penitenza.

(Lodovico Carracci, Cristo servito dagli Angeli nel deserto)

L’originalità del digiuno cristiano

Di fronte al rapido mutare delle condizioni sociali e culturali caratteristico del nostro tempo, e in particolare di fronte al moltiplicarsi dei contatti interreligiosi – basti pensare alle sempre crescenti comunità islamiche –  e al diffondersi di nuovi fenomeni di costume – si pensi ai cosiddetti periodi di digiuno intermittente per la purificazione del corpo organicamente inteso –, diventa sempre più necessario riscoprire e riaffermare con chiarezza l’originalità del digiuno e dell’astinenza cristiani. Oggi, infatti, il digiuno viene praticato per i più svariati motivi e talvolta assume espressioni per così dire laiche, come quando diventa segno di protesta, di contestazione, di partecipazione alle aspirazioni e alle lotte degli uomini ingiustamente trattati. Circa poi l’astinenza da determinati cibi, oggi si stanno diffondendo tradizioni ascetico-religiose che si presentano non poco diverse da quella cristiana. Pur guardando con rispetto a queste usanze e prescrizioni [8], la Chiesa segue il suo Maestro, per il quale tutti i cibi sono in sé buoni e non sono sottoposti ad alcuna proibizione religiosa [9]. Al contrario, è accolto l’insegnamento dell’Apostolo Paolo che scrive: “Chi mangia, mangia per il Signore, dal momento che rende grazie a Dio” (Rm 14,6). In tal senso, qualsiasi pratica di rinuncia trova il suo pieno valore, secondo il pensiero e l’esperienza della Chiesa, solo se compiuta in comunione viva con Cristo, e quindi se è animata dalla preghiera ed è orientata alla crescita della libertà cristiana, mediante il dono di sé nell’esercizio concreto della carità fraterna. Custodire l’originalità della penitenza cristiana, proporla e viverla in tutta la ricchezza spirituale del suo contenuto nelle condizioni attuali di vita è un compito che la Chiesa deve assolvere con grande vigilanza e coraggio.

Il digiuno svolge allora la fondamentale funzione di farci sapere qual è la nostra fame, di che cosa viviamo, di che cosa ci nutriamo e di ordinare i nostri appetiti intorno a ciò che è veramente centrale. E tuttavia sarebbe profondamente ingannevole pensare che il digiuno – nella varietà di forme e gradi che la tradizione cristiana ha sviluppato: digiuno totale, astinenza dalle carni, assunzione di cibi vegetali o soltanto di pane e acqua -, sia sostituibile con qualsiasi altra mortificazione o privazione. Il mangiare rinvia al primo modo di relazione del bambino con il mondo esterno: il bambino non si nutre solo del latte materno, ma inizialmente conosce l’indistinzione fra madre e cibo; quindi si nutre delle presenze che lo attorniano: egli “mangia”, introietta voci, odori, forme, visi, e così, pian piano, si edifica la sua personalità relazionale e affettiva. Questo significa che la valenza simbolica del digiuno è assolutamente peculiare e che esso non può trovare “equivalenti” in altre forme di rinuncia: gli esercizi ascetici non sono interscambiabili! Con il digiuno noi impariamo a conoscere e a moderare i nostri molteplici appetiti attraverso la moderazione di quello primordiale e vitale: la fame, e impariamo a disciplinare le nostre relazioni con gli altri, con la realtà esterna e con Dio, relazioni sempre tentate di voracità.

Il digiuno è ascesi del bisogno ed educazione del desiderio. Solo un cristianesimo insipido e stolto che si comprende sempre più come morale sociale può liquidare il digiuno come irrilevante e pensare che qualsiasi privazione di cose superflue (dunque non vitali come il mangiare) possa essergli sostituita: è questa una tendenza che dimentica lo spessore.

Prof. Cristian Lanni

[1] cfr. Francesco PP., Meditazione mattutina, Cappella della Domus Sanctae Marthae, 16 febbraio 2018.

[2] cfr. Francesco PP., Omelia del mercoledì delle Ceneri, Basilica di Santa Sabina, 22 febbraio 2023.

[3] cfr. Benedetto PP. XVI, Messaggio per la Quaresima, Città del Vaticano 2009.

[4] cfr. Mt 6, 1-6; 16-18.

[5] cfr. Mt 6,18.

[6] Mc 2,19.

[7] Mc 2,20.

[8] Con speciale riferimento alle pratiche musulmane e degli ebrei, si veda: Conferenza Episcopale Italiana, Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza, in Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana, 6 (1994), 206-209.

[9] cfr. Mt 15,11.

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