Non amo molto gli slogan, perché spesso l’eccessiva radicalità di poche parole non giova, tuttavia la potenza della sintesi non è trascurabile. Per questo mi piace ricordare un piccolo passaggio di un’omelia di Angelo Scola: “Le cose attese a lungo sono le più belle” (dedicazione della nuova chiesa di Quarto Oggiaro, Pentecoste 2017). Ma non perché l’attesa sia bella in sé (la sala d’attesa è forse piacevole?); è bella la preparazione.

Non basterà una vita intera a prepararsi all’amore, in ogni prospettiva che questo sentimento, questo stato dell’anima, coglie, raccoglie ed esplode; e la sessualità, uno dei versanti di questa santa montagna, non fa eccezione.

Per questo, al di là di certo giornalettismo, mi piacerebbe che chi desidera fare proprio il nome di discepolo di Gesù – letteralmente sarebbe “quello della strada”, come scritto in Atti 9 – metta in conto di non fuggire, ma di abbracciare ogni dimensione umana, quand’anche difficile.

Il formalismo della norma, di ogni norma, non può e non deve avere la pretesa di spiegare tutto, di narrare il mestiere della vita.

Cosa ci resta? Ci resta di non fermarci in superficie, nemmeno dei documenti, nemmeno di quelli (che possono sembrare) più ostici.

A me sembra che la castità non sia l’esercizio dei fachiri o dei masochisti: perché – come già da altri ricordato – non è continenza, né astinenza, né verginità.

Per Dioincidenza, penso a metter nero su bianco queste cose nel giorno in cui il santorale ricorda Romualdo di Camaldoli. Anche per chi, a differenza di questo monaco, vive altre situazioni di vita, solo o in coppia, è prezioso quanto lui scrisse: “Anzitutto, mettiti alla presenza di Dio con l’atteggiamento umile di chi sta davanti all’imperatore; svuotati di te stesso e siedi come una piccola creatura contenta della grazia di Dio”.

Non ho nulla da insegnare a nessuno, ma castità per me è proprio questo: svuotarsi, senza la pretesa di spiegare il mistero della mia persona come quello di chi mi sta di fronte; accettarmi e accettare, ascoltarmi e ascoltare.

E questo prima ancora di parlare di sacramenti, cioè segni della presenza di Dio nella vita e nel mondo, senza scordare che c’è un fiume di grazia che scorre ben oltre le mura del tempio, come nella visione di Ezechiele, nell’accampamento di Eldad e Medad, nella casa del centurione, …

Sembra tutto molto etereo e vago quanto ho scritto; intendevo però riflettere sul fatto che fermarsi a “non si fa sesso se non dopo essersi uniti nel santo vincolo del matrimonio” mi sembra non solo semplicistico e banalizzante, ma offensivo di ogni coscienza: perché considererebbe tout court il sesso nella vita matrimoniale sempre casto, sic et simpliciter perché si consuma dopo aver celebrato il sacramento (con tutte le conseguenze del caso per il sesso vissuto al di fuori di tale stato di vita); perché si generalizza e omologa la sessualità che, invece, è qualcosa di così ampio da attraversare molteplici dimensioni (dalla prostituzione alla stabilità di lunga data, dalle prime esperienze a quelle di chi già convive ed è sposato, e altre ancora); perché, ahimè, ignora la realtà dell’epoca e del mondo in cui viviamo, del contesto che non è soltanto secolarizzato, ma è la concretezza della vita di ciascuno.

Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?” (Matteo 16, 2-3): è il Signore a dircelo, tanto più oltre le lenzuola delle nostre camere.

Paolo SPINA, MD

Una piccola introduzione alla questione la trovate qui: no-al-sesso-prima-del-matrimonio.

Condividi questa pagina!