Nel deserto – con le bestie e gli angeli – Gesù stava.
Mi viene da pensarlo così Gesù: per quaranta giorni ha deciso di “stare”. Ha deciso di stare dopo che lo Spirito lo aveva, poco gentilmente, spinto lì e lui rimane, non fugge. E già questo potrebbe essere sufficiente per la nostra meditazione: quante volte dovremmo stare e invece fuggiamo?
O potrebbe giungerci un altro dilemma: perché stare o restare?
Molto più avanti, nel Vangelo, sarà un altro scrittore di Dio a descriverci un altro “stazionare”, quello di Maria sotto la Croce. Lo Stabat Mater si sente risuonare nelle nostre chiese in questa Quaresima (N.d.R. L’articolo è stato scritto nel 2021, durante le ondate di pandemia Covid-19). Uno stare nel dolore, come cantava De André: “Io nel vedere quest’uomo che muore, madre, io provo dolore. Nella pietà che non cede al rancore, madre, ho imparato l’amore“.
Ma prima dello “stare” di Maria c’è lo “stare” di Gesù: dove sta il Figlio di Dio? Nel deserto! Perché proprio in questa landa desolata, selvaggia, disabitata ed oltretutto pericolosa, simbolo tenace dell’assenza? È il segreto della Trinità, ma forse una mezza risposta – a denti stretti – potremmo dirla: stare nel luogo dell’assenza per gustare la Presenza.
La Presenza di chi? Dell’amore del Padre. È come se fosse andato nel punto più lontano del mondo, in mezzo alle tentazioni, in balia di un diavolo feroce, furbo, subdolo invidioso e lì, in quel silenzio, avesse sentito, nel frusciare sommesso del vento, il “Ti amo” del Padre. Un sussurrare simile a quello di Osea: “Perciò, ecco, io ti sedurrò, ti condurrò nel deserto e parlerò al tuo cuore”.
Non c’era bisogno di altro. E così fu pronto a partire per Gerusalemme, lì dove il Dolore si trasformò in Amore.
Paride