Il tentativo di una soluzione, tra il tutti e i molti.

Come si è visto in precedenza, nella prima parte, la questione sembra gravitare attorno al dilemma sulla tradizione/interpretazione, ovvero se sia corretto adottare la pura traduzione o una interpretazione che per quanto teologicamente supportata resta, appunto, un’interpretazione.

Molti non sono «i molti»

Riteniamo che per una corretta comprensione della questione bisogna necessariamente tornare a monte, ovvero ripartire dal versetto del Profeta Isaia da cui tutto sembra scaturire [6]. Può essere utile ricordare il contesto nel quale il versetto è posto: il capitolo cinquantatreesimo è l’ultimo dei componimenti poetici cosiddetti «Canti del Servo», incentrati sulla figura del servo di יהוה, descritto come un personaggio scelto da Dio per portare la giustizia alle nazioni [7], ma anche come colui che è cieco e sordo [8] in quanto incapace di svolgere la missione affidatagli da Dio. Il Profeta stesso, ci aiuta, poi, in varie occasione a comprendere l’identità di questo servo: Israele stesso, personificato nel canto poetico come unico individuo. Ciò detto, se consideriamo allora l’undicesimo versetto, vediamo che; anzitutto in precedenza il testo aveva già reso noto che la salvezza sarebbe arrivata attraverso il popolo di Israele, dunque ora il Profeta rivela anche il modo in cui ciò avverrà e cioè Israele porterà la giustizia alle nazioni con la sua conoscenza, ovvero insegnando la Legge. Per la sua conoscenza, il Servo giusto giustificherà, letteralmente, «i molti», trasformandoli dal peccato alla giustizia. Due sottolineature importanti: la prima, il «molti» di Isaia è preceduto dall’articolo. In questo caso vale l’accezione semitica indicativa di una totalità, ovvero «i molti» sono tutti. La seconda, comunque questi «tutti» sono giustificati ad una condizione: la conoscenza della Legge, ovvero prendere coscienza accogliendo quanto la Legge indica. E dunque comunque si sottopone la giustificazione alla condizione dell’accoglienza. Nei testi evangelici di Matteo e Marco, invece, le due espressioni «περὶ πολλῶν» e «ὑπὲρ πολλῶν», non sono mai precedute dall’articolo, quindi sembra azzardato associare immediatamente πολλοῖς (molti), all’ebraico רובם che invece traduce «i molti». Per la corrispondenza perfetta si sarebbe dovuto trovare anche nel testo greco περὶ τῶν πολλῶν oppure ὑπὲρ τῶν πολλῶν. In altri termini, l’associazione quasi automatica dei molti di Isaia ai molti evangelici, in ragione del fatto che nell’un caso il riferimento è alla totalità, ma il termine è preceduto dall’articolo, nell’altro no e dunque è da tradursi dal greco, semplicemente «molti». Dunque il «molti» dei vangeli non corrisponde, nella traduzione per così dire pura, a «i molti» del profeta Isaia.

Il tentativo di una soluzione

Nel tentativo di addivenire ad una possibile soluzione della questione, bisogna, prima di tutto, risolvere un quesito, che lo stesso Benedetto XVI si pose nella lettera del 2012 prima citata. Perché il Messale dopo il Concilio ha preferito la traduzione interpretativa del «per tutti», in luogo di un più fedele «per molti»? Senza dubbio è un’espressione indicativa dell’universalità della salvezza voluta da Cristo Signore stesso e in questo senso la scelta del Concilio è assolutamente corretta. Tuttavia non si può ignorare che i testi evangelici riportino una espressione differente. Oltre ai due già citati evangelisti si può aggiungere anche Giovanni che invece utilizza l’espressione «per voi». A questo punto sembra complicarsi ancor più la questione, in realtà proprio da qui potrebbe arrivare l’ipotetica soluzione. I Discepoli sono ben consapevoli del fatto che la missione del Signore Gesù si estende uscendo dalla loro cerchia e anzi ha una portata universalistica: «καὶ οὐχ ὑπὲρ τοῦ ἔθνους μόνον, ἀλλ’ ἵνα καὶ τὰ τέκνα τοῦ θεοῦ τὰ διεσκορπισμένα συναγάγῃ εἰς ἕν» [9]. Ma l’espressione del Discepolo amato concretizza assolutamente tale missione universalistica interpellando direttamente ognuno: per te, per noi, per voi. È intenderlo al passato, ma contemporaneamente anche al futuro; dunque non una affermazione astratta, ma un qualcosa di valevole per ogni comunità di ogni tempo. Ed ecco perché, come giustamente osserva Benedetto XVI [10], il Canone Romano ha unito le due espressioni del «per voi e per tutti», unendo le lettere bibliche.

Appare interessante osservare come le altre lingue traducano l’espressione controversa: in tedesco «für alle», in inglese «for all», in spagnolo «por todos los hombres», ma la più significativa è forse il francese «pour la multitude». Immediatamente torna alla mente la moltitudine del libro dell’Apocalisse [11]. Nella Rivelazione finale si parla di una moltitudine immensa, un tutt’uno con i centoquarantaquattromila segnati. Un numero perfettamente compiuto formato da dodicimila provenienti per ogni tribù d’Israele: il nuovo Israele di Dio. E questa moltitudine è vestita in bianche vesti, vesti lavate nel sangue dell’Agnello. Ora si sa, nell’Apocalisse l’abito non è mai la stoffa materiale, quanto piuttosto uno status della persona. Dunque, uno stato della persona stessa, mondata, lavata dal sangue dell’Agnello. E se il bianco è il colore di Cristo risorto, allora questo status deriva dall’essere della persona, mondato dalla Resurrezione stessa di Cristo, Agnello. E dunque, la moltitudine è la schiera innumerevole di quelli la cui vita è stata trasfigurata dall’incontro con il Risorto. Le vesti bianche dei salvati a livello escatologico indicano la reciprocità della salvezza nella presa di coscienza gioiosa che se ne ha vedendola realizzare anche negli altri. Questo è vero e testimoniato dal fatto che le vesti di questa schiera innumerevole sono rese bianche dal sangue: per la purificazione non si deve rimuovere il sangue del nemico, ma condividere il sangue dell’Agnello che produce la purezza: il contesto in cui avviene una tale condivisione è la Celebrazione Eucaristica. I molti sono la «multitude» di coloro che raggiunti dal Risorto accolgono il suo messaggio e ne sono trasfigurati, resi bianchi per mezzo del suo sangue.

Se ciò è vero, allora, la dizione corretta dell’espressione greca « περὶ/ ὑπὲρ πολλῶν» è sicuramente «per molti».

Allo stesso tempo, però, va sottolineato che la dialettica tra molti e tutti ha il suo significato: «tutti» esprime il piano ontologico: l’essere ad opera del Signore Gesù Cristo comprende tutta l’umanità, passata, presente e futura; ma de facto e storicamente parlando, nella concretezza della comunità che celebra l’Eucarestia Egli giunge solo a «molti». Una moltitudine che lo riconosce e accogliendolo si lascia trasfigurare.

Conclusioni

Tanto premesso, possiamo concludere che i «molti» che siamo noi, devono sostenere la responsabilità per i «tutti», consapevoli della propria missione. Inoltre, la sensazione che attanaglia l’attuale società è quella di essere non molti, ma al contrario, un piccolo resto, una piccola schiera, che va man mano riducendosi. Le parole dell’Eucarestia ci ricordano, invece, che siamo «molti»: siamo la moltitudine apocalittica di coloro che hanno lavato le loro vesti, facendole bianche, nel sangue dell’Agnello perché ne abbiamo accolto il sacrificio e ci siamo lasciati trasfigurare da esso. Noi siamo molti e rappresentiamo tutti: così ambedue le parole “molti” e “tutti” vanno insieme e si relazionano l’una all’altra nella responsabilità e nella promessa.

Prof. Cristian Lanni

[6] cfr. Is 53,11.

[7] cfr. Is. 42,1.

[8] cfr. Is. 42,19.

[9] Gv 11,52 («E non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi»).

[10] cfr. Benedetto PP. XVI, Lettera al Presidente della Conferenza Episcopale tedesca, 14 aprile 2012, in www.vatican.va.

[11] cfr. Ap. 7, 9-17.

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